Con molto orgoglio vi riportiamo questo interessante articolo pubblicato su Libertà, Domenica 20 Dicembre 2020. Protagonista, Arnaldo Amlesu, Chef eclettico e promettente che abbiamo avuto il piacere di avere come allievo nella nostra Scuola per diventare Chef.
Arnaldo Amlesu, confessa di essere diventato vegetariano «circa una decina di anni fa, inizialmente per una scelta etica» ma di essersi subito reso conto «che l’offerta che la ristorazione specializzata proponeva come alternativa alla carne era scarsa e il più delle volte riduttiva con opzioni prevalentemente limitate a piatti in cui veniva semplicemente tolta la carne. Le preparazioni mi sembravano misere di sapore e ripetitive – racconta accalorandosi – verdure cotte al vapore e condite con troppo olio o con agglomerati pieni di glutine per assomigliare il più possibile alla consistenza della carne, ottenendo dal punto di vista salutistico esattamente l’opposto alle premesse vegetariane».
La svolta vegetariana dell’eclettico chef del Ristorante Estro, di recentissima apertura a Montalbo di Ziano, corona una vita da romanzo: «Sono stato anarchico e comunista – racconta Amlesu – da giornalista ho realizzato il primo free press a Milano, poi sono stato sindacalista, legionario e grafico. Mi sono laureato in art direction e comunicazione con la lode. Ho fatto due figli e ho bruciato tre amori. Professionalmente sono stato consulente, direttore creativo e professore universitario. Ho scritto libri e firmato contratti impossibili. Ho bruciato soldi e momenti incredibili. Sono poi diventato chef studiando in Accademia e con il massimo dei voti e nello stesso tempo ho vinto il progetto di un ristorante».
Allievo di Pietro Leeman al “Joia” di Milano, Amlesu ha imparato in questo “santuario” le basi dell’alta cucina vegetariana realizzando un suo ricettario di cucina piacentina senza carne e grassi premiato da Slow Food per innovazione e originalità.
E alla fine ha aperto “Estro”. «Probabilmente non ho scelto il momento migliore – scherza, ma non troppo – infatti, dopo aver lottato con la burocrazia e i debiti, è saltato fuori il Covid! Ma non mollo, mettiamola così: la musica non è finita, si tratta solo di girare il disco, mettere la puntina nuovamente all’inizio e ricominciare a ballare sulle nuove note dell’altro lato».
Una sbirciata al menù consente di verificare che il nome del locale non è campato per aria: panzanella alle nocciole; involtini di cavolo nero con purè di spinaci e tartufo; maki di peperoni con fave; corona di spaghi aglio, olio e peperoncino con salsa di pomodori confit; frutta al cartoccio con burro di Malvasia; ganache di cioccolato con sorbetto di lamponi.
«Essendo un amante del buon cibo ho realizzato che in realtà quello che mi mancava non erano tanto i prodotti di base animale, quanto invece la loro completa ed equilibrata composizione del gusto – spiega – avevo voglia dei sapori che è capace di sprigionare un arrosto o una tagliata o del profumo consistente di un fondo bruno o di un ragù. Non volevo accettare il fatto che essere vegetariani voleva dire essere martiri del piacere del sedersi a tavola. Non era la carne a mancarmi quanto invece la ricchezza di sapore che la carne sa dare. Quindi la mia mission è stata quella di creare piatti vegetariani sostanziosi, variegati e deliziosi come quelli a base di carne, di cui tutt’ora conservo il ricordo (il ragù della mamma si fissa nella memoria per sempre) e a cui mi ispiro nelle mie ricette, pur non usando carne»
E infatti la partenza sono ricette tradizionali, non necessariamente vegetariane. «E analizzando spezie, aromi e ingredienti – puntualizza – ho iniziato a creare un nuovo equilibrio di sapori. Cibi che piacciano senza porsi il dilemma che siano o non siano con carne. Anzi talvolta si gioca proprio sul camuflage per sorprendere; come si fa in pubblicità, come ad esempio per le ostriche con caviale di alghe, per la frittura di calamari vegetali, per il ragù di Gutturnio, per il purea di semi di girasole, per le caldarroste di topinambur, per i cannoli di rafano o per il burro di Malvasia».
«Le nostre preparazioni hanno lunghi tempi di lavorazione – precisa – si lavora in purezza, estraendo le essenze degli alimenti e ricomponendole poi in altre forme e preparazioni. La nostra salsa di pomodoro per esempio è fatta da un blend di tre pomodori differenti ognuno con proprie peculiarità in fatto di sugosità, dolcezza e corposità, ma con cotture diverse e tempi più lunghi. I nostri burri vegetali sono ottenuti da riduzioni di vino ed essenze di verdure passate prima al setaccio, successivamente filtrate con una mussola e infine ridotte a purè. E per fare il nostro incredibile miele di cipolla, se non si vogliono disturbare le api, ci vogliono non meno di dodici ore. Dietro al cibo ci sono gesti che devono farci capire la bellezza del dono e dell’ attenzione verso l’altro. È qualcosa che non si può quantificare economicamente. È un atto di empatia che si manifesta reciprocamente tra chi cucina e chi mangia».
Poi è arrivato il Covid e anche chef Amlesu ha dovuto fermarsi, ma non del tutto. Realizzerà entro gennaio la sua linea gastronomica di semi lavorati, da terminare a casa scaldando in forno o in microonde e che saranno venduti a Piacenza
“Avevo voglia dei sapori che è capace di sprigionare un arrosto o una tagliata o del profumo consistente di un fondo bruno o di un ragù, ma con ingredienti totalmente vegetali, li ho trovati con aromi, spezie e ingredienti scelti”